Contributi critici





BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

R. Brancati: “Arte povera a Brindisi di Montagna” ( in «ll Mattino”, 15 maggio 1969);
V. Riviello: “Campi d'insonnia”( introduzione all’omonima cartella di acqueforti edita dal Cospim, Potenza, maggio 1980);
D. Micacchi: introduzione al catalogo “Aspetti della Pittura in Basiticata”( maggio 1981);
F. Vincitorio: “La parte delI'occhio” ( in “L’Espresso”n. 20, maggio 1981);
G. Stolfi: introduzione al catalogo della mostra Galleria “La Scaletta”, Matera 25 ottobre 1982;
G. Settembrino: introduzione al catalogo della mostra “Studio Arti Visive”, Potenza, novembre 1982;
B. Panella: introduzione al catalogo della mostra Galleria “L’aroobaleno”, Milano, 26 ottobre 1983;
T. Zaninetti: “SuIIa pittura di Cafarelli” ( in “Logos”, marzo 1983);
L. Mancino: introduzione al catalogo della mostra Galleria civica Melfi, marzo 1983;
B. Panella:  introduzione al catalogo “l campi dalla memoria” (per la mostra presso la galleria “Il Torchio”, Roma, dicembre 1984);
F. Corrado: introduzione al catalogo “l campi dalla memoria” (per la mostra presso la galleria “Il Torchio”, Roma, dicembre 1984);
R. Cardone: introduzione al catalogo della mostra Galleria “ll Brandale”, Savona, ottobre 1984;
L. Somaini: “Arte Nuova in ltalia” (in di“DS/83”, a cura di E. Crispolti, 1984);
R. Cardone: “Splendidior vitro” – Cristallini segmenti nell’orizzonte pittorico lucano- ( in “Perimetro”, anno 1, n. 2, dicembre 184;
S. Fizzarotti: “De Rerum a” (introduzione al catalogo mostra Galleria “Arti Visive”, Matera, dicembre 1985); S. Fizzarotti: “Giovani al Sud: Puglia e Basilicata” ( in “Segno” n. 40, marzo 1985);
P. Veroli: in “Perimetro” n. 3, marzo 1985;
M. Bignardi: catalogo “Tradizione in rivolta”, (Marcianise, maggio 1986);
R. Cardone:  introduzione al catalogo “L'eredità sconvolta” ( agosto 1986);
R. Cardone: “Marenostrum” ( Taranto 1987);
F. Sossi:  “Il colore delI'immagine” ( agosto 1987);
T. Sicoli: “I luoghi di Iride” (Palmi, agosto 1987);
M. Bignardi: “Cronache” (Edizioni Cuzzola, Salerno 1987);
S. Fizzarotti: “Lucorum Terra” ( aprile 1988);
C. Zungolo: “Nei luoghi visitati dalla memoria” ( introduzione al catalogo della mostra Galleria Nuovo Alef, Milano, novembre 1989);
M. Bignardi: introduzione al catalogo “ ll rumore delle nostalgia” (1989);
C. Zungolo: “ II privilegio dei segni” ( edizioni Proposte d'Arte, 1991);
C. Zungolo: “Memoriale della Montagna” (edizioni Tipografia Editrice Sud, Potenza, 1991);
A.R.G. Rivelli: “In principio la montagna” (Spazio espositivo “Giotto”, Carrara 1993);
A.R.G. Rivelli: “Erosione” (Spazio espositivo “Il porcospino”, Carrara 1994);
A.R.G. Rivelli: “Viola di luce andata” (Sant’Andrea di Conza, 1994);
A.R.G. Rivelli: “Ortogonali a terre inverse” (Galleria “Pan”, Brindisi Montagna 1997);
A.R.G. Rivelli: “Tota pulchra” (Milano 2004);
T. Ziella: “Omaggio a Sinisgalli” (Montemurro, 2008);
R. Cardone: “Eidos” (Pinacoteca provinciale, Potenza 2008);
A.R.G. Rivelli: “Dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitudine” (Galleria Memoli Arte, Matera, 2008);
F. Fiore: “Echi d’antico” (Museo archeologico, Potenza 2010).


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Contributo in catalogo della scrittrice Anna R. G. Rivelli  in occasione della mostra alla galleria Memoli Arte di Matera, maggio 2008 

Sconcertante e godibile, accattivante benché di non facile né immediata lettura, la pittura di Giovanni Cafarelli è tra gli esempi più completi e maturi dell’espressione artistica della Lucania contemporanea. La personalità di questo artista, arricchita da una prepotente vocazione da operatore culturale che lo impegna costantemente nella promozione della cultura regionale e nazionale, mai intaccata da ridondanti tentativi di autopromozione volti alla ricerca di successi immediati, si è consolidata negli anni attraverso un percorso multiforme e in continua evoluzione, interrotto a tratti da lunghe pause dalle quali l’artista, come da un mistico rito di purificazione, usciva rigenerato e “nuovo”. La sua opera è, pertanto, il risultato di una stratificazione di linguaggi, di emozioni, di periodi segnati da colori prevalenti e da inquiete mutazioni di linee, consolidata dalla maturità e inquadrata dalle diverse angolazioni dell’anima. E’ pittura dello spirito, infatti, quella di Giovanni Cafarelli, dove la forma prepotente si affaccia all’impulso di concretezza, ma subito si smaterializza, si nasconde, si maschera e diventa simbolo o indizio di una realtà indagata col pudore di chi preferisce il sogno. E così ogni quadro è racconto, un racconto onirico dove il tormento si compiace del suo non essere, dove il passato e il presente si alleano contro le incertezze del poi, dove le forme si cullano nella consapevolezza della mutevolezza che le plasma. L’assoluto è nel paesaggio che in realtà non c’è, eppure appare di continuo come in un rapido riflesso di vetro, come in un pensiero che non ci si accorge di aver inseguito, come in un appunto della memoria; è nel silenzio finto del nero che partorisce sprazzi di luce, che evoca nenie ed urli, che avendo potere di coprire tutto, tutto esattamente ha potere di racchiudere in sé. Anche l’oro, aspaziale e atemporale per sua natura e tradizione, raramente invade gli sfondi, ma dilaga piuttosto a riempire le forme e a negare così la loro concretezza pur disperatamente ancorata agli intagli, alle ombre, ai graffi del colore. Il bianco, il rosso hanno,invece, la purezza del risveglio; sono la parola certa che ti fa vivo, il raggio che al mattino non vorresti, ma ti spalanca il giorno, la chiave fredda e ruvida di casa.

Anna R. G. Rivelli





Contributo critico di Francesco Cosenza  sul sito www. lucanianet.it  maggio 2008


Pittura accattivante, godibile, quella di Giovanni Cafarelli artista materano, tra i migliori esponenti dell’arte contemporanea Lucana. Appare piena, la ricerca sulle vaste scie dell’incerto manifestarsi del tempo, sono varchi emozionali, sospesi in larghe direzioni di contatto, le opere dell’artista. Linguaggi stratificati in colori, espressioni di stagioni personali trasferiti sulle tele, sono racconti onirici, scompaginazioni dell’anima, le forme narrate sulle opere. Forme che si dilatano nelle tinte forti, calde e nette degli stili mutevoli dell’artista non fermo su strutture creative, l’assoluto si manifesta, come sfondo, cornice spesso morbida delle realtà. Le sue opere, di segni e simboli di culture nell’evidente transito delle angolazioni dell’anima, schiudono percorsi narranti, atmosfere sognanti che spesso esprimono contrasti. Ogni quadro è quindi una storia sospesa nelle osservazioni di chi si avvicina alla ricerca prospettica, gli scuri sulle tele, i tratti netti e quasi gli squarci, che l’artista pone sulle luci in profondità raccolte, sono immediati rimandi. L’oro, elemento dipinto come scudo contro ogni tempo, elegante incrocio con le età, rende piacevole la vicinanza e l’attracco a lontani porti dell’immaginazione. Pittura dello spirito che si apre all’impulso della concretezza, alla emozionalità intensa, il mare, l’oltremare immaginato e riposto sulle tele ( Oltremare 2005 ), le ricerca delle armonie sottili e imperscrutabili, le riflessioni in forme alte di sperimentazione, sono universi raccolti in vaste linee. Guarda il cielo Giovanni Cafarelli e lo dipinge scuro, quasi incastrato in un alto cielo, appare nero e privo di nuvole, “bagnato” di tempo nuovo ( Il cielo è un traffico grigio 2007 ), i quadri, spesso privi di luce, sono occhi che abbracciano le scure condizioni in cui l’umano esiste. Sui quadri di Giovanni Cafarelli, le analisi sul tempo divengono centrale presenza intorno alle forme esistenziali e memoriali toccate, i timori rivolti all’incerto, al poi in atmosfere sospese ritratto, schiudono percezioni di colori e forme, immaginazioni aperte ma pur sempre consapevoli di toccare un ignoto. Viaggi di domande alte, direzioni di scoperte su piani vari di senso, questa è l’arte di Giovanni Cafarelli, descrizioni di gesti in sensazioni, astrazioni in colore aperte sulle larghe strade dell’interpretazione. Gli incroci di mondi, le volontà narranti, rendono opere molto interessanti, di un artista in continuo transito verso mete sognanti da abitare ed indossare.

Francesco Cosenza







Contributo in catalogo della scrittrice Anna R. G. Rivelli  in occasione della mostra "In principio la montagna" presso lo spazio espositivo "Giotto" di Carrara, 1994

Forse è facile accostarsi alle sue opere per chi lo conosce, ma non è facile conoscerlo perché lui è le sue opere dove incessante respira il connubio perfetto tra definito e vago di un passato e di un presente che sempre si combattono, s’incalzano, si avvicendano o si affrontano dissolvendosi l’uno nell’altro per riaffiorare ancora netti, distinti in una sorta di perpetuo castigo o di dolcissima litania della memoria. Ed è questa memoria che segue perenne la linea ricurva o spezzata di monti che sono da sempre il perfetto orizzonte su cui muove  l’artista; e chi quei suoi monti ha mai amato non ha bisogno di tentare di decifrare quelle forme-non forme dai contorni decisi per vederci un tripudio di fuochi d’artificio o un rosario di stelle cadenti o magari soltanto lo scoppiettio di carboni che nella foresta lucana eternano un rito che sa di fumo e di vino e di infanzia  lontana.
Le figure in primo piano ti si avventano contro, lacerando fondali purissimi che sono orizzonti dell’anima, sono profondi silenzi che nell’azzurro onnipresente palpitano di blu, di viola, di nero o si lasciano graffiare da spruzzi di luce; le figure in primo piano sono brandelli di vita, frammenti della storia dell’artista e sono sempre le stesse, ma si allungano, si dilatano, si appiattiscono o si contorcono semplicemente perché sono il materializzarsi di un pensiero inquieto e vibrante, ma coerente e reale.
Poi lo scatto nervoso dei segni qualche volta si placa e diviene onda morbida e cupa che sembra evocare quel passato che la mente non sa ritenere  e porta l’eco di realtà ineffabili che scivolando via s’impigliano appena nell’emozione di un titolo.
Anna R. G. Rivelli




Contributo del poeta Bernardo Panella  in occasione della presentazione presso la galleria  "Il torchio" di Roma  del catalogo "I campi della memoria", 1983

I CAMPI DELLA MEMORIA
Il concetto di “ campo”, nelle moderne scienze psichiche o fisiche, comprende in linea di massima una pluralità di elementi che formano un “ unicum”nel senso dell’attività. ,A questi processi, così sommariamente delineati, Cafarelli certamente fa riferimento nel riassumere nel  momento attuale la sua attività di pittore. Non vorrei sbagliarmi dicendo che nella sua impostazione per cosi dire scientifica, egli tende ad una razionalizzazione esterna dei suoi processi e dei suoi procedimenti espressivi.
 Il campo rivela la fonte, il principio attivo, l’area dell’ispirazione. E’ qualcosa di remoto e profondo che si definisce anche nel senso della delimitazione. Insomma, sembrerebbe che Cafarelli stia per effettuare un controllo su se stesso; che stia anzi per darsi una sistemazione  definendo rigorosamente i percorsi e i mezzi per poter procedere oltre nella sua ricerca.
 I “Campi della memoria”, proposti allora nella fase finale, vengono ad assumere un valore di riferimento insieme a un carattere di verifica.
 Il riferimento è a quanto finora l’artista ha fatto (non potendosi, se non per ipotesi, immaginare il futuro); e la verifica ribadisce le linee di comportamento per accertare la completezza di una esperienza e poterla dire conclusa.
 Ma in questa operazione nella quale siamo chiamati come fruitori, non possiamo che fermarci a “godere”quanto risulta agli atti della proposta creativa fin qui esibita.
 E  allora, prescindendo, doverosamente, dalle intenzioni e dai progetti futuri dell’artista, a noi tocca penetrare nei meandri della presente operazione inventivo-creativa e trarne quegli elementi ermeneutici che sono alla base della lettura dell’opera.
La lettura, dunque, si fa ricercando il codice;,in Cafarelli  esso è particolarmente evidente. L’assunzione del corpo, quale elemento di mediazione nella fase acuta del processo rappresentativo, denota una posizione di fondo; essa è -così mi pare- un atteggiamento che  “pre-giudica” la situazione esistente come patologia.
Il labirinto delle viscere allude scopertamente alla difficoltà del comunicare; in esso nasconde l’insidia e la protezione. Arianna col filo è l’ispirazione artistica che sa che cosa si nasconde dentro di esso. Si potrebbe allargare (forse gratuitamente) questo concetto; per questo lo sospendiamo a questo accenno che, del resto, dovrebbe già essere sufficientemente indicativo. Mi resta solo da chiarire che per difficoltà del comunicare non intendo particolari difficoltà espressive quanto esistenziali.
Ma altri elementi del codice iconografico di Cafarelli ci portano a cercare la direzione del “campo” cui egli esplicitamente allude . E’ forse in certi elementi microscopici  che dobbiamo indagare (somiglianze “studiatamente”casuali: la linea del labirinto somatico che sembra alludere a una figura umana; e dettagli quasi invisibili (linee, lettere) che “puntualizzano” un elemento della memoria:un profilo umano, il castello, il giornale). L’allusione alla forma nella non forma che vuol restare tale, ci porta a un’ altra “verità”: la esistenza del profondo (il campo), dove sono custoditi tenacemente i tesori della vita che nella dedica familiare Cafarelli rivela essergli essenziali quanto altri mai.
E’ qui che l’intenzione nascosta si fa lirico sentimento, rivelando tutta intera la presenza remota del campo che emette onde emozionali fin troppo esplicite e scoperte.
Nella iconografia di Cafarelli, insieme al labirinto viscerale gioca una parte notevolissima l’elemento progettuale, caricato per di più di simboli che dalla finzione meramente grafica trapassano rapidamente (nel codice) e significato metaforico più universale  e più elevato. La freccia che apre i nodi delle are segnate da lettere (progetti, abbozzi, pezzi staccati di una struttura in fieri) è un simbolo segnaletico che induce alla ricerca, e magari anche al gioco: sfida alla verità o caccia al tesoro. Il “progetto”come il segmento di viscere è sicuramente segno di qualcosa che sta al fondo della concezione dell’esistenza, o della situazione che dir si voglia, vista come una “imperfezione”. E’ in questo senso la freccia potrebbe indicare l’ottimismo della volontà contro il pessimismo della ragione. La stilizzazione di Arianna.
Comunque tra il campo profondo della memoria che emette le sue radiazioni senza intermittenze (la vita) e il labirinto con le sue strozzature (la situazione) si inserisce la freccia con la sicurezza della sua indicazione perentoria. Alla definizione del codice è essenziale questa precisazione, perché è nella somma degli elementi che lo costituiscono che è possibile afferrare tutta la problematica di Cafarelli.
Bernardo Panella




Contributo del giornalista Franco Corrado in occasione della presentazione presso la galleria "Il torchio" di Roma  del catalogo  "I campi della memoria", 1983


Cafarelli propone la sua nuova figuralità con una immagine che tende sempre di più a frantumarsi, a divenire pretesto.
Al centro l’uomo: l’uomo del nostro tempo, con le sue alienazioni, le sue angoscie, i problemi che fanno spesso dolente la condizione del vivere; un essere visto a frammenti, vivisezionato, non identificabile nemmeno nelle parti che lo esprimono, nella sua composizione biologica.
“Tavole anatomiche” quelle di Giovanni Cafarelli per una indagine sull’essenza umana oggi, finalizzata (questo mi sembra di cogliere nel modo di esprimersi di questo artista che riesce a comunicare  innanzitutto con la forza del segno ) a lasciare, malgrado tutto, un messaggio di speranza. A sottolineare questa volontà, una presenza da qualche tempo maggiormente sentita dal colore nelle sue composizioni; di un colore più “ timbrico” che tonale, con una particolare resa che non ha necessariamente attinenza con il mondo esterno.
Nelle campiture, ancora prevalente l’azzurro ed il celeste-grigio. Ma, qua e là, anche improvvise accensioni di rosso e di giallo.
Una equilibrata fusione, alla fine, tra segno e colore. Il che non sorprende, essendo – per Cafarelli-“secondo logica”. D’altra parte  non ha detto Ingres che  “ non c’è un solo caso in cui un buon disegnatore non abbia anche capacità di colorare secondo il proprio tratto”?
Franco Corrado




Contributo del poeta Teresio Zaninetti sulla rivista  "Logos", Milano 1983


Teso alla grafica, Cafarelli, padrone della linea, del segno, orchestra un mosaico di suggerimenti sulla condizione dell’umanità attuale, costretta in schemi e in passaggi prefissati, addirittura obbligatori. La sua denuncia viene fuori con un mordente pittorico suggestivo, anche nella propria misurata razionalità, da cui spuntano anche risvolti che vanno dallo psicologico all’emotivo, giungendo ad una esplicazione sociologica; l’uomo, anatomizzato (o somatizzato), affronta l’enigma delle strade, ovvero della scelta, che la società gli presenta come lasciapassare. E’ un temperamento poetico,  senza dubbio, quello di Cafarelli, poiché il suo apparente “smarrimento” è, in realtà, decifrazione espressiva delle alienazioni di cui è vittima l’uomo di oggi, nell’inferno del capitalismo.
Teresio Zaninetti






Contributo dello scrittore Leonardo Mancino  nel catalogo per la mostra alla Galleria Civica di Melfi, 1983


I dedali di Giovanni Cafarelli sono tentazioni, il suo labirinto assomiglia alle manie-malie che attraversano il cervello: sono arterie contorte, sinuose vene, ma pure anse di fiumi, salti di torrenti, flussi di materia innominabile, parti, reparti, comparti, scomparti… sono topografie essenziali e per tali cammini ci orientiamo noi poveri lettori di grafie.
Cafarelli ha costruito un personale tessuto narrativo rigoroso e dolcissimo, allettante e traviante, resistente ed ambiguo.,Chi può togliere valore all’ambiguità-complicità dell’arte?
Ma ciò che ci appassione è la sua costante ricerca vitale: l’uomo, la luce, l’assenza (come dice Micacchi); sotto queste sintonie scopriamo l’accanito andare al nocciolo della realtà sviscerandone valori e tendenze, come dire: alla radice d’ogni gesto umano e vitale. Fra gli artisti della sua generazione Cafarelli è quello che con grazia più durevole riesce a liberare i motivi interiori della gabbia del patetico in modo tale da poter conquistare il sapore di “verità rivisitate”, cogliendo a pieno il senso del progetto di se stesso, mentre tenta di rispondere all’ansia del suo tempo con estro prezioso e con rara perfezione formale.
Leonardo Mancino





Contributo del poeta Giulio Stolfi in occasione della mostra presso La Scaletta di Matera del maggio 1982

«Ma i sogni, di che sostanza, sono i sogni? I sogni sono i segni. Oh! I sogni sono a lapis».
Questo passo del sinisgalliano «Furor Mathematicus» mi sembra il più efficace commento a queste «tavole» di Giovanni Cafarelli, come egli ama definirle con scoperto riferimento alle illustrazioni dei testi di anatomia. Nella sua opera pittorica e grafica, prevale, infatti, il segno. Al colore è affidata, più che  altro, la  funzione di supporto, di contrappunto, tanto è vero che egli si avvale di una voluta monotomia cromatica usando un colore vitreo  in cui le tinte si uniformano, solo a tratti illuminate dalla intrusione di verdi, rossi, gialli.
Essenziale, invece , è il segno che traduce in immagini il sogno inteso non nel  suo significato più banale, ma come inquietante riflesso della presenza del mondo contemporaneo dolorosamente avvertita dall’artista,
quasi a livello di subconscio, in tutte le sue tensioni e lacerazioni: presenza che si fa sentimento della condizione umana, riflessione e sgomento, furore e speranza.
E evidente la ricerca di un linguaggio di immediata percezione, starei per dire da mass media , come se queste tavole fossero viste attraverso un oblò o  in un monitor, in una sorta di reportage dal  vissuto  di ogni
giorno, fors’anche da quanto  accade in una sala operatoria.
Soggetto centrale è l ’uomo, considerato non nello spazio, ossia nella sua proiezione esteriore, ma nella sua intima verità e sostanza, cioè nella sua immagine  più segreta.
In questi intenti, talvolta sullo sfondo di un paesaggio urbano  di  segnali stradali  e di insegne, Cafarelli presenta anatomie di difficile identificazione biologica che è possibile comprendere solo se vengono collocate in una dimensione  onirica nella  quale questo allucinante groviglio di filamenti,  vasi, nervature viene a definirsi come materia-simbolo e diviene emblematica rappresentazione della disintegrazione  del «monde cassè»; del mondo in frantumi in cui l’uomo e ormai al bivio e deve scegliere tra il rifiuto di ogni responsabilità  - ma è addirittura rifugio nel non essere, come sembrano suggerire i feti che l’artista aggiunge alle sue anatomie -  e l’impegno di ritrovare se  stesso, di ridefinirsi,  pagando il prezzo che va pagato affinché l’umanità si salvi.
Ed è questo messaggio che, al di là della indubbia bravura del pittore e  del grafico, caratterizza l’opera di Cafarelli in una rigorosa assunzione di responsabilità, oggi che non è  tempo di sperimentalismi o di  mode, di
arcadie o di ambiguità ma occorre che si parli alle coscienze con  la forza, addirittura con la spietatezza, della verità.

Giulio Stolfi




Contributo del critico Dario Micacchi in occasione della mostra itinerante "Aspetti della pittura in Basilicata" (Potenza, Melfi, Matera) 1980


Giovanni Cafarelli con forme labirintiche dà evidenza a una figura dell'uomo che sembra resistere a un agguato dopo l'altro, che si districa nel groviglio come pianta torta che cerca la luce.

Dario Micacchi




Contributo del poeta Vito Riviello alla cartella di incisioni "Campi d'insonnia", 1980

 Il viaggio di Cafarelli deve essere come il sonno senza sonno degli astronauti, un viaggio angelico che ha d’antico la pura solitudine del viaggiatore. Il cosmo è un abisso materno che grazie a Laing riusciamo a conoscere come un mondo nuovo, festoso, drammatico ma senza agguati. Un giro nella vastità del creato  dove la pioggia di stelle non è una banalità accesa  dal gusto del dollaro,  ma una verità che esplode prima delle parole . L’immagine, prima delle parole, di questo “viaggio notturno” che Cafarelli compie ci sembra inconsueto e pieno d’aria. Forse siamo realmente in uno spazio diverso,non più geometrico e definito, inventato sulla propria fervida speranza, uno “spazio” nato dalla totale esperienza dell’artista, dal fascio illuminante della sua tensione.
Vito Riviello